Il "piacere" dello Smart Working
29 July 2024
Sembra una vita fa, eppure il primo lockdown dovuto al COVID-19 risale al marzo del 2020.
Ho sempre pensato che la pandemia, l'emergenza e il lockdown ci abbiano insegnato almeno due concetti fondamentali:
siamo tutti uguali e dovremmo essere uniti,
abbiamo superato da un pezzo l'inizio del nuovo millennio e dovremmo aver capito che per determinati lavori non è necessario andare in ufficio.
A ben guardare, però, sembra che entrambi i concetti ci siano entrati da un orecchio e usciti dall'altro.
Ci siamo fatti forza dicendoci che da casa si poteva fare tutto. Poi, non è passato neanche un anno e le aziende hanno ripreso a tirare i remi in barca, costringendo i dipendenti a tornare ognuno seduto alla propria scrivania.
Ho sempre inteso questo atteggiamento come una specie di insicurezza del management che, non essendo in grado di gestire correttamente la forza lavoro, preferisce avere tutti i dipendenti sott'occhio. Come se la loro presenza in ufficio legittimasse lo stipendio. Della serie: "Anche se non sei produttivo, almeno non stai a casa con le mani in mano".
Anni fa, ben prima della pandemia, lavoravo in Smart Working per un'azienda siciliana sul progetto di un cliente sloveno. Ho visto i miei colleghi siciliani solo durante un viaggio di piacere che ho voluto fare a Messina. Nonostante ciò, abbiamo sempre lavorato bene.
Anzi, forse abbiamo lavorato anche "meglio".
È per questo motivo che, quando ho deciso di fondare illegal studio, mi sono ripromesso che sarebbe stata un'azienda "full-remote native". Un'azienda che nasce full-remote e vuole provare ad andare avanti così, talmente full-remote da non avere neanche una sede fisica.
Certo, è una sfida. Siamo ancora piccoli e per ora sembra riuscirci. Il mio auspicio è che possa funzionare ancora a lungo, per affrontare le sfide che ci si prospettano con il sorriso e la voglia di fare che ci ha contraddistinto fino a ora.
